Commedia

LA STOFFA DEI SOGNI (2015) di Gianfranco Cabiddu – recensione del film

Nel primo dopoguerra una nave che svolge collegamento postale tra il continente e e l’Asinara viene investita da una forte tempesta che ne provoca il naufragio sull’isola. A bordo, oltre a quattro camorristi in corso di trasferimento al carcere, vi sono due guardie e quattro componenti di una piccola compagnia napoletana di giro, fatti salire come clandestini dal capitano dell’imbarcazione.
Sulla spiaggia tre minacciosi camorristi naufraghi incontrano gli attori e costringono il capocomico, Oreste Campese, ad aggregarli alla compagnia per dissimulare la loro identità. Il carcere dell’Asinara è comandato dal direttore De Caro che ha scelto di ritirarsi ed esiliarsi nell’isola, da quindici anni, con la giovane figlia dopo essere stato lasciato dalla moglie.
Le due guardie, anche loro superstiti del naufragio, vengono raccolte e confinate nella sua casa da un pastore sardo in cerca di amicizia e compagnia.
Intanto le ricerche degli scampati dalla tempesta danno buon esito e gli agenti del carcere trovano e conducono dal diffidente direttore la compagnia dei “sette” teatranti.
De Caro impone l’allestimento, nel cortile del carcere, in cinque giorni, della commedia “La tempesta” di Shakespeare al fine di smascherare gli eventuali commedianti millantatori. La figlia, nel frattempo, ritrova e cura il quarto camorrista, giovane e belllo, di cui si innamora subito.
La messa in scena dell’opera teatrale, in napoletano, riserverà molte sorprese per chi interpreta e per chi assiste; agli spettatori del film è assicurato anche un finale non convenzionale.

“La stoffa dei sogni” è un film del 2015 che il regista Gianfranco Cabiddu ha tratto, per la prima parte del film, dalla commedia in due tempi e un prologo “L’arte della commedia” di Eduardo De Filippo scritta nel 1964 e, per la seconda parte, da “La tempesta” di Shakespeare nella traduzione napoletana, sempre di De Filippo.
Questo insolito mix ha permesso, al regista sardo, di comporre un film lieve e toccante, mai gridato, e portatore di poesia e di umanità. Ci piace definirlo un particolare kammerspiel dove l’azione, invece che in una stanza o in un piccolo teatro, è sviluppata nel perimetro più vasto, ma, altrettanto definito e circoscritto, di un’isola. Lo spettatore viene coinvolto dagli elementi che si sviluppano nella natura (la tempesta, il paesaggio che irrompe nelle inquadrature, la notte che delimita la volta celeste osservata dal pastore e dai suoi giovani agenti prigionieri). Si incontrano tutti i temi del carattere popolare del teatro di Eduardo, sempre attento a sottolineare amore, passione, ma anche calcolo e valori umani.
La felice combinazione dei due testi letterari ha per risultato una sorprendente lettura delle immagini su due livelli temporali e relazionali. La prima parte è sviluppata sulla recitazione degli attori : i camorristi che giocano a dissimulare le proprie identità; il direttore del carcere che prova a dimenticare il fallimento della sua vita, senza speranza di riscatto; sua figlia che è alla ricerca dell’amore e il pastore che cerca una via d’uscita dalla sua solitudine.
Nella seconda parte irrompe il testo teatrale. “La tempesta”, felicemente tradotta nella sonorità godibile del dialetto napoletano, trasforma gli interpreti delle proprie contraddizioni in esegeti dell’arte del parlato, del sonoro, della finzione finalmente accettata. Qui vediamo il miglior cinema e la migliore interpretazione di tutti i convitati di pietra del forzato appello a chiarire chi sia il doppio e chi sia il commediante. Nel gioco delle parti ognuno finge e dice la verità allo stesso tempo, fino al colpo di scena che non esclude la riverenza finale per ottenere il plauso degli spettatori attoniti.
C’è un po’ dei Fratelli Taviani nei paesaggi e nel rude taglio delle sembianze dei caratteri; c’è un po’ di Pirandello quando si gioca alle identità e c’è tutto l’Eduardo, drammaturgo dei sentimenti.
Il film è impreziosito dalla partecipazione dei tanti bravi attori che nobilitano la suggestiva e sofisticata sceneggiatura. Citiamo con ammirazione Sergio Rubini, Ennio Fantastichini, Renato Carpentieri, Gaia Bellugi e Teresa Saponangelo. L’Asinara è degno corollario per questa vicenda dove il mare, i monti, le colline sposano tutte le condizioni e le poetiche dell’umano sentire.
“La stoffa dei sogni” è un piccolo film per fortuna di chi lo ha visto ed apprezzato, che è stato finanziato con contributo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e mai sovvenzione è stata più appropriata. Mal distribuito nel dicembre 2016, occorre recuperarlo per apprezzarne sceneggiatura, recitazione e capacità registica.
Gianfranco Cabiddu, premiato con il David di Donatello nel 2017 per la sceneggiatura adattata di “La stoffa dei sogni”, è stato collaboratore di Eduardo de Filippo. Ha iniziato la carriera nel cinema come fonico, poi come sceneggiatore e regista. Si mise in luce, nel 1997, con il lungometraggio “Il figlio di Bakunin” tratto dal romanzo di Sergio Atzeni ed è molto attento alla cinematografia sarda.
Con “La stoffa dei sogni” ha dato prova di grande abilità e preparazione.

la stoffa dei sogni locandina

Regia: Gianfranco Cabiddu; Soggetto: da L’arte della commedia di E.De Filippo, da La Tempesta di W.Shakespeare, Gianfranco Cabiddu; Sceneggiatura: Gianfranco Cabiddu, Ugo Chiti, Salvatore De Mola; Interpreti: Sergio Rubini, Ennio Fantastichini, Teresa Saponangelo, Alba Gaia Bellugi, Francesco Di Leva, Ciro Petrone, Nicola Di Pinto, Maziar Fairouz, Jacopo Cullin, Giampaolo Loddo, Fiorenzo Mattu; Fotografia: Vincenzo Carpineta; Musica: Franco Piersanti; Costumi: Beatrice Giannini, Elisabetta Antico; Scenografia: Livia Borgognoni; Montaggio: Alessio Doglione; Suono: Filippo Porcari; Produzione: Paco Cinematografica S.r.l., White Pictures; censura: 110193 del 16-11-2015

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