“13 uomini e un cannone di Giovacchino Forzano” ovvero un brutto anatroccolo tra gli stivali del duce.
Tra i film militari del ventennio che passarono nella sordina della visibilità e notorietà, “Tredici uomini e un cannone“, credo sia tra quelli più’ anonimi e “leggeri” a livello propagandistico, specie se si considera l’alta simpatizzazione di Forzano per il regime, e la fiducia che il regime riponeva in lui.
La trama descrive le vicissitudini militari e interne sul fronte russo, di una batteria militare austriaca di 13 uomini, che armati di un solo cannone (che venerano più della loro stessa patria), riescono a infastidire il più potente nemico con fulminei attacchi a sorpresa e piccoli giochi di strategia.
Un incidente notturno provocherà la morte di un commilitone e rivelerà la loro posizione al nemico, costringendo il generale delle truppe ad una inchiesta interna con la minaccia di fucilazione dell’intero gruppo, accusato di alto tradimento.
Il film fu girato nel 1936, nel quadriennio del pieno apogeo fascista 34-38 (anche se già negli anni antecedenti i registi avevano dato i primi “dazi”) periodo nel quale il regime espresse una serie di concreti contributi (e vincoli) per lo sviluppo cinematografico, con l’intento primario di allinearne le future produzioni alla politica totalitaria del governo.
È necessario quindi “scorticare” dalla radice del film i suoi “elogi” al regime per scorgerne le sue peculiarità artistiche.
Luigi Freddi, il potente gerarca a capo delle principali istituzioni cinematografiche nonché garante dei contenuti dell’intera produzione filmica italiana, aveva già’ espresso il suo apprezzamento al regista Forzano in virtù dei precedenti lavori e del suo fedele spirito conformista alla politica, ma il confronto del suo ultimo film con altre produzioni del medesimo anno (vedi “Il grande appello” di Camerini) lo misero in fondo alla lista.
I “difetti” del film nei confronti degli alti ideali del regime erano diversi: in primis la mancanza di un reale atteggiamento bellico dei protagonisti, in concerto con l’assenza di uno spirito patriottico marcato e onorevole (in effetti il gruppo venera più il cannone che la patria), l’insufficienza di scene di guerriglia che permettono di esaltare la forza e il valore militare dei protagonisti.
Forzano, che d’altra parte aveva già espresso la sua sudditanza verso il regime con il sontuoso Camicia nera, o il napoleonico Campo di Maggio, proseguiva con questo film la sua narrazione di vita militare, ma qui con una presa diversa, più sottile e con una adesione littorica visibilmente meno ” ruffiana”.
Anche la dissacrazione del nemico, tipica dei film del periodo e fortemente voluto dai protocolli di applicazione della filosofia del fascio è anche qui presente, ma in chiave diversa, quasi vignettistica e tutto sommato “piacevole”.
La continua presa in giro ai russi, i balletti di fronte al cannone, il tono spensierato dei soldati sfiora il livello umoristico rendendo la guerra dei nostri cabarettisti militari, una guerra ” gaia”, quasi giuliva.
Non mancano ovviamente inneggiamenti corali e valorose prove fiduciarie patriottiche ma sono più’ apertamente inserite nell’ordine di un classico contesto militare (rigore, disciplina, difesa delle proprie armi, funerali con onore ai caduti), anziché chiuse nelle tetri e tristi monologie vocative di respiro propagandistico.
L’incipit iniziale, l’ideale dello sparuto gruppo di soli tredici uomini che danno filo da torcere ai russi, e’ ghiotto e potrebbe trarre in inganno facendo percepire l’eroismo come base propagandistica della pellicola, ma il film (fortunatamente) volge in un altra direzione, tingendosi addirittura di giallo e divenendo quasi un thriller (con tutti i limiti plausibili) e con sfumature di spy-movie, sicuramente non comuni per i film del periodo.
il film infatti può essere diviso in due parti, una prima a sfondo bellico descrittivo, una seconda più introspettiva e indagatoria.
Ed è qui che escono fuori le origini artistiche del regista.
Forzano, drammaturgo, commediografo e autore testuale di opere liriche con discreta fama a cavallo degli anni ’20, evidenzia nel nutrito cast una propensione alla teatralità drammatica degli attori, specie nella seconda parte del film, con un gioco di tensioni e primi piani d’effetto, forse esagerati in alcune scene, ma che permettono ai protagonisti di esprimersi nella loro natura di attori e non come marionette da propaganda, con volti del calibro di Fosco Giacchetti, Carlo Romano, Filippo Scelzo, Ernesto Sabbatini, Carlo Tamberlani e molti altri.
I dialoghi risentono della mancanza di un doppiaggio finalizzato cosicché capita sovente di sentire i russi con accento toscano e gli austriaci con tonalità romanesche, ma con un cast interamente italiano non si poteva pretendere troppo.
Ad ogni modo, si denota una certa evoluzione tecnica del regista, con un montaggio sicuramente più accurato e una fotografia meno statica e documentaristica.
I suoi doverosi dazi nei confronti del governo sono presenti, ma senza quelle evidenti “marchette” dirette al regime che hanno pesato nei suoi precedenti lavori.
Si potrebbe pensare, a tal proposito, ad un distacco dal suo animo politico, ma solo apparentemente.
In verità Luigi Freddi, già nominato direttore generale della cinematografia nel ’34, dopo le delusioni di film come Vecchia Guardia (che piacque a Hitler ma non al duce), o alla tracotante e pesante retorica di Camicia Nera, allentò la presa sui film militari, monitorandone costantemente la produzione ma spingendo la loro ideologia di base verso lidi più “morbidi” e meno evidenti, cercando di incontrare un più favorevole gusto del pubblico, propenso a vedere la propaganda nelle commedie che nei film a sfondo bellico.
Per finire questo “brutto anatroccolo”, risulta, senza infamia e senza lode, un film godibile, con un buon cast , a tratti audace e dinamico specie se ben contestualizzato e confrontato con altri lavori del periodo.
Regia: Giovacchino Forzano; Soggetto: Giovacchino Forzano; Sceneggiatura: Giovacchino Forzano; Interpreti: Fosco Giachetti (uno dei tredici uomini), Filippo Scelzo (uno dei tredici uomini), Egisto Olivieri (comandante), Carlo Duse (uno dei tredici uomini), Carlo Romano (uno dei tredici uomini), Mario Steni (uno dei tredici uomini), Enrico Marroni (uno dei tredici uomini), Piero Pastore (uno dei tredici uomini), Fernando De Crucciati (uno dei tredici uomini), Edoardo Toniolo (uno dei tredici uomini), Silvio Bagolini (uno dei tredici uomini), Giuseppe Addobbati (uno dei tredici uomini), Faliero Gasparri (uno dei tredici uomini), Carlo Tamberlani (sentinella), Ernesto Sabbatini (generale), Leo Chiostri (generale), Pietro Sharoff [Pietro Scharoff] (“Sua Eccellenza”), Ugo Ceseri (russo), Alfredo Menichelli (russo), Eugenio Cappabianca (russo), Vasco Brambilla (russo), Celio Bucchi, Giorgio Capecchi, Giovanni Carlo Giachetti, Rolando Costantino, Felice Minotti, Giacomo Moschini, Emilio Petacci (specialista impronte digitali), Giorgio Scelzo, Giotto Tempestini, Athos R. Natali [Athos Rogero Natali]; Fotografia: Mario Albertelli, Augusto Tiezzi; Musica: Giovacchino Forzano; Scenografia: Boris Bilinsky, Antonio Valente; Suono: Raoul Magni; Montaggio: Mario Bonotti; Produzione: Cinematografica Immobiliare Pisorno; Distribuzione: SIAE; censura: 29353 del 30-09-1936
Recensione di Mauro Friundi
Categorie:Cinema del ventennio, I° Guerra mondiale