ATTENZIONE CONTIENE SPOILER
“Sembrate un allevatore di maiali, ma con quella stella sembrate un allevatore di maiali che si è messo a fare lo sceriffo”
Neve. Tanta neve, tanto freddo , tanto ghiaccio nell’inverno di fine ottocento ai confini tra Stati Uniti e Messico.
In questo Far West da incubo le montagne accolgono e proteggono non solo i lupi e gli animali in letargo, ma anche decine di bandidos, poveri e disperati, che il giudice di paceHenry Podik del vicino paese di Snow Hill, ha marchiato come fuorilegge mettendo una taglia sulle loro teste. In questa desolata natura cercano ostili rifugi per proteggersi dai bounty killer in agguato. Tra Podik e i cacciatori di taglie c’è l’accordo per spartirsi il bottino della cattura.
Una annunciata amnistia governativa scatena ancor di più la voracità degli inseguitori che cercano di stanare i fuggitivi sulle alture.
Gordon detto Silenzio è un pistolero senza patria e senza casa che non ha pace. Da bambino ha assistito all’uccisione cruenta dei genitori ad opera di Podik e di un cacciatore di taglie. Quper impedirgli ogni testimonianza, gli ha tagliato la gola rendendolo muto per sempre. Per questo è diventato, nel tempo, nemico e antagonista dei bounty hunter che incontra sulla sua strada. Li provoca e poi li uccide con furbizia, in modo tale che la loro morte sia considerata legittima difesa dalla Legge.
E’ un mercenario al soldo di chi vuole vendicare la morte di un congiunto ad opera dei famigerati cacciatori e lo fa con la sua proverbiale infallibilità e la pistola Mauser “Broomhandle”.
Tra tutti gli avidi cacciatori di taglie il più cattivo e furbo è Tigrero, cow boy senza scrupoli che uccide per soldi e per malvagità. Nell’agguato ad alcuni bandidos ammazza il nero Mc Gee e un altro giovane che voleva costituirsi. Durante il trasporto dei cadaveri, sulla diligenza diretta a Snow Hill, conosce Gedeon Corbett, nuovo sceriffo della cittadina, ligio alla legge e che gli renderà la vita difficile.
In un crescendo di colpi di scena e di intensa violenza, Tigrero sopprime lo sceriffo e, con alcuni complici, cattura e uccide tutti i bandidos ormai stremati dalla fame e dalla paura.
Anche Silenzio raggiunge il paese dove Vonetta, vedova McGee, lo incarica di vendicare la morte del marito.Dopo aver soppresso il giudice Podik e il suo servo, affronta, menomato e ferito, nell’ultimo duello, il brutale Tigrero che, nella notte di neve e di sangue,tra le case del paese, ha ucciso sia Régine, cantante del saloon che la vedova Mc Gee.
Nell’estrema resa dei conti, anche Silenzio rimane ai suoi piedi, morto e perdente. Tigrero non avrà rispetto per il vinto a cui porterà via la pelliccia e la pistola Mauser come massima umiliazione.
Sergio Corbucci gira, nel 1968, l’ottavo dei suoi tredici film dedicati al genere spaghetti western. “Il grande silenzio” è una delle sue opere più importanti e riuscite. Riteniamo possa essere inserito tra i migliori film del cinema di genere .
Suo il soggetto, originale la messa in scena e tutta personale la capacità e la forza di rompere gli schemi che avevano abituato lo spettatore ad interagire con ruoli, paesaggi, sceneggiature e convenzioni divenute routine rassicuranti.
Dopo i successi de “Minnesota Clay, “Navajo Joe”, del superbo “Django” e dell’ultimo“Il mercenario”, il regista romano ribalta tutti gli usuali canoni del western nostrano. Sceglie i fondali innevati invece delle assolate piste del far west. Nel freddo e nel ghiaccio i pistoleri lottano per la sopravvivenza. Personaggi non facilmente riconoscibili, imbruttiti e coperti da pellicce e da coperte per tenere al caldo le armi che devono sempre essere pronte all’uso.
Uomini degradati a lupi,animali selvatici che si confrontano con la natura matrigna e con la rabbia dei propri simili. Filmare non è semplice, nella neve calpestata non sono permessi secondi o terzi ciak e, dunque, “buona la prima” girata con maestria e precisione.
Ogni elemento filmico trova il suo giusto spazio: la fotografia cangiante splende impreziosendo i paesaggi e le corse dei cavalli; la lunga sequenza del viaggio della diligenza è magnifica; la colonna sonora di Ennio Morricone valorizza le scene dai campi medi e lunghi dove la natura è protagonista; nei costumi la scelta delle pellicce e dei capi di abbigliamento accentua l’animalità dei protagonisti.
Ma il “coup de thèatre” che Corbucci riserva allo spettatore è nella trama e negli attori.
Il tasso di violenza, già piuttosto accentuato nei precedenti film, trova ampio spazio, oltre che psicologico, nei particolari delle ferite provocate dalle pistole e dagli sviluppi dei duelli mortali tracciati sulla neve. Si respira, per tutto il racconto filmico, l’eccesso di brutalità e di aggressività che ci viene, di proposito, trasmesso per accentuare patos e dramma.
Tutti gli stereotopi sono ribaltati. I canoni dello storytelling del genere sono rimescolati per stupire e disorientare lo spettatore seriale. La narratologia non asseconda, ma stupisce.
Qualche osservazione sui personaggi: la figura dei bounty killer, tradizionalmente“buona” per leoniana memoria, qui risulta avida e grossolana. I bandidos con le taglie a carico, invece, sono poveri diavoli coinvolti in un gioco di accuse infondate più grande di loro. Lo sceriffo, il cui ruolo è spesso centrale, è sgraziato e soccombente. L’eroe pistolero non ha il dovuto carattere e la sua incapacità di parlare ne accentua la debolezza interiore.
Anche in questo film ritroviamo il vezzo di Corbucci per le armi particolari. In “Django” Franco Nero estrae dalla bara una micidiale mitragliatrice mentre Johnny Oro, nell’omonimo film, si fida solo della sua preziosa pistola d’oro . Qui Silenzio non può fare a meno della particolare Mauser 7,63 mm che può diventare facilmente piccola mitragliatrice.
L’azzardo che Corbucci getta al tavolo del poker cinematografico è il finale sorprendente. Per la prima volta i personaggi negativi, Tigrero e compari, vincono uccidendo tutta la compagine dei buoni. Con rabbia e massima crudeltà muoiono i bandidos falciati da pistole e fucili, muore Régine, la tenutaria del saloon e Vonetta Mc Gee. Il totale sacrilegio cinematografico viene raggiunto quando anche Silenzio non sopravvive al brutale duello con il perfido cacciatore di taglie.
Cronaca vuole che i produttori italiani ed esteri pretendano che Corbucci filmi un altro finale dove compare un redivivo sceriffo Corbett che, in compagnia di Silenzio, giustizia tutti i malvagi. L’happy end realizzato risulta così improbabile e sconclusionato da convincere gli stessi produttori ad accettare, per nostra fortuna, quello originale.
Corbucci ne fu penalizzato perché il pubblico italiano non lo premiò con le presenze e gli incassi. La critica lo apprezzò di più. Tarantino, probabilmente, gli è debitore per le scene con la diligenza, oltre ai campi lunghi sulla neve, nel suo “The Hateful Eight”.
Anche la scelta degli attori premia l’ottimo risultato finale. Il vero protagonista è Klaus Kinski, tonico villain che modella la recitazione su toni smorzati, mai portati all’eccesso, mai sopra le righe. Ne viene fuori un ruolo inedito per l’attore a cui venivano, fino ad allora, affidate solo parti da bandito psicopatico, pazzoide che tortura e uccide per squilibrio mentale. Qui è freddo, calcolatore,inesorabile. Una prova da attore poliedrico e maturo.
Un altro unicum è Trintignant, lontano anni luce da ruoli western;-lo ricordiamo, trai tanti film da protagonista, Roberto Mariani ne “Il sorpasso”(1962) di Risi e Marcello Clerici de “Il conformista”(1970) di Bertolucci. Ne “Il grande silenzio” è un uomo ferito da un trauma infantile che cerca, suo malgrado, vendetta. Pacato e menomato si aggira nel mondo di violenza che lo circonda. Gioca in un contesto che non gli è congeniale. Corbucci prende spunto da una vecchia idea di Marcello Mastroianni per affidargli il ruolo di pistolero muto anche perché l’attore, nella realtà, non sapeva parlare inglese. Il confronto tra lepersonalità di Tigrero e di Silenzio è la perfetta antitesi ,mix di contrasto e antinomia.
A corredo del cast, nel ruolo dello sceriffo, c’è Frank Wolff, legnoso ed impacciato difensore delle mille leggi, perfetto con il suo faccione e lo strano cappello. Luigi Pistilli è l’azzeccato corrotto giudice di pace e i personaggi femminili, Pauline Middleton e Marisa Merlini, sono all’altezza del loro compito.
Finale sorprendente, ruoli rivoluzionari, set inusuale, violenza non gratuita, regia esemplare. Ci sono tutti gli elementi per amare questo grande western e il suo maestro regista. Quattro stelle meritate.
Curiosità:
-Il film fu girato sulle Dolomiti, tra Cortina, Auronzo di Cadore Misurina e San Cassiano in Badia.
-Il film fu vietato ai minori di anni 18. L’uscita a ridosso delle feste natalizie, con il divieto, ridusse fortemente il numero degli spettatori e gli incassi.
-Sul set, al primo incontro, Kinski offese Wolff dicendogli:”Io non stringo la mano a uno sporco ebreo come te perché sono tedesco e gli ebrei mi fanno schifo”. Da immaginare la reazione di Wolff che voleva picchiarlo, ma fu -fermato dagli assistenti. A distanza di tempo Kinski confessò di averlo provocato apposta per accentuare l’odio che doveva essere manifestato, nella finzione cinematografica, tra i due attori.
-In un cinema siciliano uno spettatore, insoddisfatto dal finale non convenzionale, sparò con una pistola vera contro lo schermo.
-Frase di lancio:”La sua voce era il silenzio della morte”.
Per la redazione di questa recensione abbiamo utilizzato informazioni tecniche dal volume “Spaghetti western-volume 3” di Matteo Mancini, edito da Edizioni il Foglio e dal “Dizionario del western all’italiana” di Marco Giusti edito da Mondadori che ringraziamo.
Regia: Sergio Corbucci; Soggetto: Sergio Corbucci; Sceneggiatura: Vittoriano Petrilli, Mario Amendola, Bruno Corbucci, Sergio Corbucci; Interpreti: Jean-Louis Trintignant (Gordon, detto Silenzio), Klaus Kinski (Tigrero), Frank Wolff (Cedeon Corbett), Luigi Pistilli (Henry Podik), Carlo D’Angelo (governatore), Marisa Merlini (Régine), Mario Brega, Maria Mizar, Marisa Sally, Raffaele Baldassarre [Raf Baldassarre], Spartaco Conversi, Remo De Angelis, Jacques Toulouse, Mirella Pompili [Mirella Pamphili], Vonetta McGee (Pauline Middleton); Fotografia: Silvano Ippoliti; Musica: Ennio Morricone; Costumi: Enrico Job; Scenografia: Riccardo Domenici; Suono: Bruno Zanoli; Produzione: Adelphia Compagnia Cinematografica, Films Corona, Nanterre; Distribuzione: 20th Century Fox; censura: 52578 del 31-10-1968
Recensione a cura di: Dino Marin
Categorie:Spaghetti Western