Per poter parlare di Ferdinando M. Poggioli, bisogna da prima capire il contesto storico politico in cui visse ed operò. Anche se fortemente romanzato, uno spaccato dell’epoca, ci viene dato da Ettore Scola con il film Una giornata particolare (1977). La pellicola, che si ambienta nell’arco di un unico giorno, il 6 maggio 1938, data della visita a Roma di Hitler a Mussolini, ci racconta dell’incontro tra Antonietta (Sophia Loren) e Gabriele (Marcello Mastroianni). L’intimo rapporto nato tra i due viene interrotto, nel finale, dall’arrivo a casa di Gabriele di due guardie incaricate di condurlo al confino in Sardegna. L’allontanamento è il prezzo che si ritrova a pagare a causa della sua omosessualità che si scontra con la definizione di virilità dettata dalla propaganda fascista. Quanto raccontato da Scola attinge e prende ispirazione dalla drammatica realtà. Il caso più clamoroso fu quello del segretario del partito nazionale fascista Augusto Turati; vittima di un’aggressiva campagna diffamatoria ad opera dei suoi nemici interni che lo accusavano di omosessualità, cosa inammissibile per chi doveva dettare la linea del partito, nel 1931 fu costretto a dare le proprie dimissioni. Non soddisfatti, i suoi detrattori riuscirono ad ottenere, dal Duce, il suo allontanamento facendolo confinare all’isola di Rodi. Ma per quanto buia, ogni epoca ha i suoi spiragli di luce. Anche in un Italia così formalmente conservatrice esistevano contesti, come quello dello spettacolo, dove predominava una mentalità più aperta e ciò permise a personaggi come Poggioli, in controtendenza ad un mondo che gli era avverso, di non nascondere mai più di tanto la sua omosessualità e di non essere condannato a quell’esilio che allontanò dai propri cari molte persone meno fortunate di lui. Nato a Bologna il 15 dicembre 1897, la sua scalata nel mondo del cinema partì dal basso. Entratovi in punta di piedi come comparsa, nel tempo divenne segretario di edizione, aiuto regista e montatore, dimostrando una professionalità senza uguali. Il passaggio alla regia con il film Arma bianca (1936) fu un evoluzione naturale. Affetto da bambino da una poliomielite che gli aveva causato menomazioni ad un piede e alla mano destra, il suo disagio fisico fu compensato dalla sua grande tenacia. Discreto pianista autodidatta, la sua disabilità non gli impedì, come visto, di montare la pellicola su moviola. L’amico e collega Claudio Gora nel descriverlo non usò mezzi termini “...Come essere, Ferdinando Maria non era felice, sopratutto per il suo aspetto fisico. Difatti era brutto, rincagnato, aveva anche una mano impedita, rattrappita…”. Acuto osservatore, curioso del mondo che lo circondava, ebbe sempre la capacità, nonostante le limitazioni restrittive imposte dalla censura, di saper raccontare la realtà dell’epoca. Era un uomo che spiccava agli occhi dei suoi interlocutori per la sua grande cultura, amante dell’arte e dotato di una grande intelligenza e sensibilità. Difficile incontrarlo senza libri al seguito, diranno di lui. Da buon bolognese, simpatico e gioviale, trovò sempre consenso e complicità all’interno del mondo del cinema, riuscendo di fatto a non suscitare mai l’attenzione morbosa del regime. Se le sue relazioni reali di carattere sentimentale come quella che ebbe con molta probabilità con l’attore Elio Marcuzzo (che trovò la morte il 25 luglio del 1945 per mano degli ex partigiani della brigata Garibaldi con la falsa accusa di collaborazionismo), non potevano essere rese pubbliche; per proteggerlo gliene furono create alcune ad hoc, prima con l’attrice Isa Pola, e poi con l’amica e complice Jone Tuzi.
Intensa fu l’amicizia con Luchino Visconti, che credendo in lui si offri di produrgli quello che per il regista sarebbe stato “il più bel film del cinema italiano”, Racconto d’agosto. Ambientata in Sicilia la pellicola, che non fu mai realizzata, avrebbe dovuto parlare di un ragazzo che, in rivalità con i sui coetanei, trova rifugio su un’isola dove conosce una turista straniera. Da questo fugace incontro, in cui riceve solo un casto bacio, ottiene una nuova consapevolezza di se che lo rende più adulto e sicuro della sua virilità.
Man mano che la guerra giungeva al termine e si cercava di tornare alla normalità, con una nuova libertà che si respirava nell’aria, tutti ripresero a lavorare nel cinema. Poggioli invece aprì a Roma, in via Margutta, un negozio di antiquariato. La notte del 2 febbraio 1945, a soli 47 anni, trovò la morte a causa di una esalazione di gas. Ad accorgersene, la mattina dopo, fu l’amico e collega Mario Soldati. Ad oggi non si è fatta ancora chiarezza sulla causa del decesso. Per alcuni si trattò di un semplice incidente, altri pensarono al suicidio. Forse, consapevole che le porte del cinema gli si erano chiuse per sempre e cosciente che quei tempi non sarebbero più tornati scelse di lasciarsi morire. Al suo attivo risultano circa una dozzina di film, per la maggior parte trasposizioni di quelle opere letterarie che tanto aveva amato e che erano alla base della sua formazione.
Articolo a cura di Roberto Zanni
Categorie:Articolo