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“Guidare un cavallo è come dirigere un’orchestra”, recensione del film culto Febbre da cavallo, diretto nel 1976 da Steno

ATTENZIONE CONTIENE SPOILER “Guidare un cavallo è come dirigere un’orchestra” “C’hai na faccia…Eh, si ce n’avevo due stavo all’Università, sotto spirito!” Bruno Fioretti detto Mandrake, Armandino Felici detto Pomata e Felice Roversi sono tre amici che sbarcano il lunario nella Roma di metà anni settanta. Bruno è fidanzato con Gabriella che gestisce un bar e sopporta malvolentieri i piccoli lavori da indossatore e da comparsa in qualche spot pubblicitario che lui riesce a rimedire. Armandino è un disoccupato cronico, Felice sopravvive con il suo precario lavoro di parcheggiatore abusivo. La passione che li unisce è rappresentata dalle corse dei cavalli che li vede scommettitori cronici, neanche a dirlo, sempre perdenti. La loro giornata è organizzata e vissuta in funzione delle corse che si svolgono nei vari ippodromi che frequentano assiduamente. A Roma: Tor di Valle e Le Capannelle, in trasferta a Napoli: Agnano o a Cesena. Passano le giornate a leggere ossessivamente le riviste di ippica e il giornale “Cavallo”, discutono su fantini, cavalli piazzati o vincenti e sulle genealogie dei quadrupedi con tanti altri scommettitori, tutti saccenti professori dell’argomento. I tre, normalmente, rimediano un po’ di denaro per le scommesse con piccole truffe ai danni di Otello Rinaldi, macellaio detto Manzotin, loro storico antagonista e grazie alla ingenuità di altre povere vittime. Meschini stratagemmi indispensabili per presentarsi davanti al botteghino dell’ippodromo con qualche soldo e con la speranza di puntare sul cavallo giusto. La svolta della loro vita si può verificare quando Gabriella, recatasi da una cartomante, chiede a Mandrake di giocare una tris sui cavalli King, D’Artagnan e Soldatino, considerati da tutto il popolo degli ippodromi tre ronzini, incapaci non solo di vincere, ma anche di piazzarsi. Soldatino, di proprietà dello squattrinato avvocato De Marchis, è considerato il peggiore e, da tempo, è messo a dieta di biada dalla scuderia dove è alloggiato perché il proprietario non può far fronte al suo mantenimento. I soldi affidati a Bruno vengono puntati tutti, non sul tris promesso, ma sul cavallo considerato favorito, a Cesena, dal trio: Antonello da Messina vincente, come raccomandato dal “professor” Pomata. Naturalmente, quasi un miracolo, i tre cavalli snobbati si piazzano al primo, secondo e terzo posto facendo perdere a Mandrake 20 milioni di lire. Non resta che prendere tempo con Gabriella mostrandole una falsa schedina vincente e organizzare l’ennesima truffa per recuperare il denaro non vinto. L’occasione si presenta subito a Tor di Valle dove si sta per correre il “Gran Premio degli assi”.I favoriti sono la cavalla Bernadette guidata dal famoso fantino francese Rossini, e Soldatino a cui la dieta di biada ha dato vigore e tanti premi. Per eliminare la concorrenza l’avv. De Marchis, Felice, Pomata e Mandrake organizzano il rapimento del driver francese e puntano molti soldi su Soldatino vincente Alla partenza del gran premio Bernadette è guidata da Mandrake, alias Rossini e Soldatino da Pomata che ha sostituito, all’ultimo momento, il fantino ufficiale. Deve vincere il cavallo di Pomata, ma Mandrake, eccitato dal nuovo ruolo e dalla competizione che vive per la prima volta da protagonista, porta Bernadette al trionfo, vanificando tutto l’imbroglio. Davanti ad un giudice, il giorno dopo, “unico caso in Italia, beccati 24 ore dopo il gran premio” dice Pomata, la compagnia, con una accorata arringa di gruppo, riesce a farsi assolvere da tutte le accuse. Anche il giudice è un accanito scommettitore alle corse dei cavalli e tutto finisce “alla volemose bene”. Gabriella, non fidandosi di Mandrake, ha giocato per proprio conto la tris ed ora con i soldi può programmare la ristrutturazione del bar e il matrimonio con il perdonato fidanzato. La coppia parte in viaggio di nozze per Venezia. Ad una stazione intermedia, con il velato consenso di Gabriella, Bruno, complice Pomata, scende dal treno per raggiungere Cesena e il suo irresistibile ippodromo. Alla compagnia si aggiunge il giudice, divenuto, ora, compagno di sogni e scommesse equine. Tutti alla ricerca del “cavallo sicuro che non può perdere”. Vale la pena ripercorrere la storia di questo film, tanto amato da alcuni anni e le cui battute sono ormai patrimonio del nostro vivere quotidiano. “Febbre da cavallo”, diretto da Steno (Stefano Vanzina), esce nelle sale italiane nel 1976. Incasso medio di 209 milioni di lire e successo contenuto. Fu stroncato dalla critica: «Febbre da cavallo presenta il peggiore dei difetti attribuibili a Steno: non fa ridere […], almeno per la prima ora, e poi soltanto una certa dimestichezza può indurre a un poco di simpatia per il film.»(Repubblica del 2/11/1976). Mereghetti lo definì “una commedia sbrigativa” e, nel 1985, Masolino D’Amico nel suo libro “La commedia all’italiana” non gli dedica neanche una citazione. Dimenticato per circa 15 anni, all’inizio degli anni novanta, comincia ad essere proposto, sull’onda della popolarità delle emittenti private, prima dalle televisioni romane come T9, Gold Tv e GBR e, successivamente, dalle emittenti nazionali anche nelle prime serate dei palinsesti dedicati al cinema. A poco a poco il pubblico della televisione si accorge che la pellicola è divertente,non volgare e ben interpretata. Viene apprezzata fino a farla diventare film di culto e, a furor di popolo, eletta tra le migliori commedie all’italiana. Nascono fan club i cui membri si definiscono “febbristi”e la critica si raddolcisce nel giudizio. Mereghetti, ora, lo definisce “uno degli ultimi esempi di commedia all’italiana vecchia maniera” e “la celebrazione dei perdenti e dell’arte di arrangiarsi è servita con un sense of humor irresistibile, che è la quintessenza della romanità cialtrona e bonaria di una volta”. Voto: due asterischi e mezzo su cinque. Il grande successo permette, nel 2002, la realizzazione di un sequel per la sceneggiatura e la regia di Enrico e Carlo Vanzina, figli meritevoli di Steno. Il film ha fortuna ed è ben realizzato. Vede il ritorno, nel ruolo di Mandrake di Gigi Proietti, oltre a un lungo cameo di Pomata-Montesano e la partecipazione di molti bravi attori non presenti nella prima edizione. Dopo ventisei anni i cavalli non si chiamano più Soldatino, ma Pokemon e fanno capolino i cellulari; gli attori, per fortuna, non cercano di rincorrere o scimmiottare i ruoli dei loro valenti predecessori Negli anni settanta, non ancora travolti da videogiochi, videopoker, scommesse su internet e ammiccamenti ludici tecnologici, i giocatori più o meno accaniti si affidavano, in maggioranza, alla schedina del totocalcio, al lotto e al totip delle corse dei cavalli. In quest’ultimo settore di scommesse, i più pervicaci frequentavano anche gli ippodromi per scommettere direttamente sui loro cavalli preferiti. Al di là dei drammi derivati dall’accanimento e dalla malattia del gioco, “Febbre da cavallo” viene pensato per enfatizzare in maniera non volgare, e come solo il cinema di genere sa e può fare, la vis comica dedicata ad un argomento che, spesso, è fonte di disperazione, assuefazione ed esasperazione. Lo fa con una sceneggiatura devota alla grande recitazione dei molti attori talentuosi che, con esperienza, giocano con un tema delicato, piegandolo alla loro arte comica così da renderlo lieve e divertente. Fin dai titoli di testa, grazie anche al tema musicale davvero pregevole e trascinante di Bixio, Frizzi e Tempera, si entra nel mondo dei cavalli, delle scommesse e, soprattutto nei personaggi così unici e straordinari. La voce di Mandrake, sonoro diegetico, racconta la vicenda al giudice e spiega allo spettatore le vicende dei protagonisti e dei comprimari che eleggiamo, fin da ora, viceprotagonisti per bravura ed ecletticità.

Gente poco normale, ma indimenticabile: il macellaro Manzotin, la nonna di Armandino, il driver francese Rossini, l’avvocato De Marchis, il giudice, il conte Dell’Ara e tanti altri che mettono a disposizione la loro recitazione, non frutto improvvisato di facili successi dalle produzioni televisive, ma gavette del teatro classico o dell’avanspettacolo. Prevalgono, naturalmente, il Gigi Proietti vigile dello spot “ whisky maschio senza rischio”,’indossatore vanitoso con la bellissima Niki Gentile e avvocato improvvisato per l’arringa finale in tribunale.Grande attore di teatro, troppo dimenticato dal nostro cinema. Insuperabile è Montesano, vero mattatore, con le leggendarie due sigarette tra le labbra, i capelli sempre unti, l’autosegreteria telefonica e le battute folgoranti: “A regà, parlamo come un cavallo stampato; c’ho tutto qui nella capoccia, so’ un computer equino, a me mè dovrebbero da’ la laurea per scienze der cavallo”. E quando si tratta di sostituire il fantino designato alla guida di Soldatino è lapidario:”Guarda che io corro, c’ho er patentino, c’ho i ritagli dei giornali”. Un vero mito, inossidabile, l’Armandino tecnico ippico. Si sono volute accostare, da parte di qualche critico le madrakate di “Febbre da cavallo” con le zingarate di “Amici miei” del regista Monicelli. Sono invece, a nostro parere, molto distanti. Le prime sono piccole truffe, non scherzi, per il beneficio economico dei protagonisti e nesoddisfano la febbre del gioco personale; le seconde sono burle, dileggi e scherni, a volte crudeli, nei confronti di sprovveduti e inconsapevoli bersagli, per appagare l’incapacità di divenire adulti e la voglia di beffare il prossimo. Necessità contro goliardia. Un altro luogo comune non condivisibile è che “Febbre da cavallo” sia un film romano, romanesco. La commedia all’italiana si fonda, da sempre, sul dialetto romano, comprensibile da tutti , pigro, accattivante e pungente. Da Sordi, Montesano, Manfredi, Rascel, al genovese Gassman tanti sono gli attori che hanno fatto del romanesco la lingua più utilizzata nel genere. Alla regia c’è il super collaudato ed esperto Steno. Ha al suo attivo moltissimi film di genere, tanti con Totò protagonista e, uno per tutti, il capostipite dei poliziotteschi “La polizia ringrazia” del 1971. Si avvale, per la sceneggiatura, anche della collaborazione del giovane figlio Enrico che tanta fortuna avrà in seguito in questo lavoro. Dal produttore Infascelli, agli inizi degli anni settanta, arriva la proposta a Steno di girare un film drammatico legato alla schiavitù del gioco d’azzardo. Non se ne fa nulla fino alla metà degli anni settanta quando lo stesso produttore rilancia l’idea di “Febbre da cavallo” in versione commedia. Steno, questa volta, accetta lasciando a Nanny Loi, cui era destinato il film, la regia di un episodio di “Basta che non si sappia in giro” che, inizialmente, avrebbe dovuto dirigere lo stesso Steno (si tratta dell’episodio “Il superiore”). Scambio fortunato per entrambi. “Febbre da cavallo”, dunque, ha recuperato popolarità e gradimento nel tempo grazie alle mille gag e alle tante battute che non si dimenticano e si ripetono con divertimento. Il mix eccellente, tra sapiente regia e interpretazioni memorabili, fanno di questa opera cinematografica il perfetto strumento di comicità per ritrovare un po’ di buonumore. Imperdibile.

Il film è stato editato sia in Blu-ray che in DVD (clicca qui per saperne di più).

Febbre da cavallo – locandina

Regia: Stefano Vanzina [Steno] Soggetto: Massimo Patrizi Sceneggiatura: Alfredo Giannetti, Enrico Vanzina, Stefano Vanzina [Steno] Interpreti: Luigi Proietti (Bruno Fioretti, detto “Mandrake”), Enrico Montesano (Armandino Felici, detto “Pomata”), Catherine Spaak (Gabriella), Francesco De Rosa (Felice Rovesi), Mario Carotenuto (avv. De Marchis), Maria Teresa Albani (Mafalda, cartomante), Gigi Ballista (conte Dell’Ara), Adolfo Celi (presidente del tribunale), Niki Gentile (sorella di Armandino), Ennio Antonelli (Otello Rinaldi, detto Manzotin), Luciano Bonanni(ladro di medicine), Aristide Caporale, Gianfranco Cardinali, Giuseppe Castellano (stalliere), Fernando Cerulli(regista di short pubblicitari), Marina Confalone, Elena Magoia, Nerina Montagnani (nonna di Armandino), Renzo Ozzano (Jean-Luis-Rossini), Fulvio Pellegrino, Valentino Simeoni, Maria Luisa Traversi, Pietro Zardi, Franca Scagnetti (passeggera treno) Fotografia: Emilio Loffredo Musica: Franco Bixio, Fabio Frizzi, Vince Tempera Costumi: Bruna Parmesan Scenografia: Franco Bottari Montaggio: Raimondo Crociani Suono: Giorgio Pallotta Produzione: Euro International Films, Primex Distribuzione: Euro International Films Visto censura: 69310 del 21-10-1976.

Recensione di Dino Marin

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